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[Recensione apparsa sulla rivista Archivio Storico Lombardo, a. XLIII (1916/1-2) pp. 241-243]

CODAZZI, Contributi alla Storia della Cartografia d'Italia. IV. Carte topografiche di alcune pievi di Lombardia di Aragonus Aragonius e Brixiensis (1608-1611), Firenze, tip. Ricci, 1915, in-8, pp. 157, 24 figure e 4 tavole. ("Memorie Geografiche pubblicate come supplemento alla Rivista Geografica Italiana dal dott. Giotto Dainelli").

Dai volumi degli Atti di Visita conservati nella Curia Arcivescovile di Milano, la Codazzi ha potuto raccogliere un gruppo omogeneo di vecchie carte topografiche, riguardanti le pievi di Lecco, Oggiono, Incino e Missaglia, da permetterle uno studio. Le carte sono di un Aragonus Aragonius, mediocre pittore bresciano, che nel primo decennio del ‘600 si trovava in Milano al servizio del card. Federico Borromeo, al quale prestava anche l’opera sua di ingegnere, come risulta da numerose sue piante di chiese. Per Oggiono e Lecco si ha la sola carta centrale della pieve (1608), per Incino (1610-11) e per Missaglia (1611) si hanno altresì le carte delle singole parrocchie: migliori per fattura sono quelle della pieve d’Incino, le meno curate quelle di Missaglia, delle quali manca inoltre carta della parrocchia di Torrevilla. Queste carte furono delineate in occasione delle visite pastorali del card. Federico, e si trovano rilegate nei rispettivi volumi, tramite quelle della pieve d’Incino che stanno a sé, essendo andato disperso il volume che le conteneva. Sembra che il Borromeo, uomo santo e colto, avesse intenzione di avere una rappresentazione grafica particolareggiata di tutta la diocesi, e l’ipotesi, messa innanzi dall’autrice, ha molto del verosimile giacché anche il Bescapè, vescovo di Novara, faceva stendere e stampare in quegli anni la carta della diocesi novarese. La mancanza di altre carte dell’Aragonius la si può ascrivere o alla sospensione dei progetto o alla dispersione delle medesime, come da seri indizi ha potuto constatare la Codazzi.

Le carte sono disegnate su fogli rettangolari dalle dimensioni che si aggirano in media sui cm 32x43: solo per le carte di pieve, e per rara eccezione in tre carte di parrocchia (Missaglia, Nava, Casatenuovo), furono uniti insieme due corpi per ottenere una misura di cm 43x64. Sono a colori: per l’orografia è usato un colore giallo-verde, che impallidisce fino a divenire quasi bianco quanto più elevato è il rilievo del terreno; per i laghi l’azzurro intenso, per i corsi d’acqua l’azzurro che si trova disposto lungo la linea mediana di una striscia bianca che sta ad indicare il solco della valle. Le case e le chiese sono bianche coperte da tetti di color rosso. Sui fianchi dei colli e lungo i corsi d’acqua sono disposte a profusione delle piante. Nello spazio eccedente i fogli, o dove meglio lo riteneva opportuno, l’Aragonius rappresentava quindi l’azzurro del cielo o dei castelli e disegnava le cartelle coi nomi dei luoghi, la distanza delle singole località dal centro parrocchiale o pievano, o altre spiegazioni che riteneva opportuno di dare. Per indicare l’orientamento della carta tracciava, benché non sempre, due righe incrociantesi generalmente nel centro del disegno. Le carte sono prospettiche e panoramiche. L’Aragonius delineava innanzi tutto le cartine delle parrocchie: si recava sui luoghi e per prima cosa schizzava la direzione del corso d’acqua che vi osservava, poi delineava le accidentalità del terreno, in seguito collocava le sedi abitate nella disposizione che gli poteva venir suggerita da un occhio di paesista, da ultimo sulla carta esplicativa segnava la distanza dei singoli luoghi in miglia e suoi sottomultipli, valutando le distanze in linea retta, invece di calcolarle, secondo l’uso di allora, seguendo le strade. Ma il guaio si è che le disegnava senza una scala fìssa, operando con un criterio molto empirico: aveva davanti dei fogli di misura presso a poco uguali, tuttavia, varia essendo l’estensione delle singole parrocchie, veniva con ciò ad aumentare la scala quanto più la parrocchia era piccola e a diminuirla quanto più era grande: fatto ciò localizzava i punti cardinali in corrispondenza all’orientazione delle carte. Ne avvenne di conseguenza che le carte delle pievi, da lui compilate ricorrendo alle cartine già fatte e senza badare che non erano tutte alla medesima scala, ebbero alterati i corsi d’acqua nel loro percorso e i diversi paesi nella loro situazione, e la superficie dei laghi e le loro grandezze sformate. Hanno pertanto maggior fedeltà di rappresentazione le carte di parrocchia che non quelle di pieve. Tuttavia, nonostante i loro difetti, le carte dell’Aragonius rimangono notevoli non solo perché ci offrono uno dei primi tentativi, fra di noi, di rendere in modo non convenzionale la forma del terreno, e di aver introdotto nella rappresentazione cartografica quel fìnimento nel paesaggio che fino allora era stato esclusivo della pittura, ma ancora, perché costituiscono la prima rappresentazione particolareggiata della regione briantina e ci ricordano alle volte (come per le paludi e per certe località che più non sussistono) delle condizioni che il tempo e l’opera dell’uomo hanno modificato e trasformato. Questi pregi la Codazzi seppe così bene intuire ed illustrare col suo studio da ottenere il Premio Moise Lattes di fondazione Ella Lattes. Nella prima parte ci presenta uno Studio complessivo delle carte, (le carte di pievi di Lombardia estensione della regione delineata dalle carte - data delle carte — l’autore delle carte - scopo che diresse le delincazioni - caratteri esteriori delle carte - la scala: valore del miglio - rapporto tra le carte di parrocchia e le carte di pieve - il disegno orografico - il disegno idrografico - particolari antropogeografici - rapporti tra le carte dell’Aragonius ed alcuni schizzi anteriori conservati in Curia - come è rappresentata la Brianza nelle migliori carte di Lombardia dal 500 all'800), e nella seconda parte un "Esame particolare delle singole carte". In appendice vi aggiunge l’"Elenco dei nomi ricordati nelle carte dell’Aragonius"; "La rappresentazione dei laghetti briantei nelle carte di Lombardia dal 500 alla fine del 700"; e un "Elenco delle carte e schizzi topografici conservati nei volumi degli "Atti di Visita" (Archivio della Curia Arcivescovile di Milano), disposto secondo l'ordine alfabetico delle Pievi ".

La Brianza, amena e interessante regione finora troppo imperfettamente studiata, ha finalmente avuto una degna illustrazione per la cartografia antica. L’autrice si appresta, com’ella scrive in una nota, a darci un altro lavoro ricavandolo dall’esame dei documenti raccolti nei citati volumi degli Atti di Visita. Senonché essa lamenta che in quell’archivio oltre alla tirannia dell’orario fissato per lo studio, non vi siano né indici né cataloghi che facilitino le ricerche fra quei più che duemila volumi, giacché non merita il nome di repertorio quel coso tenuto lì a maggior dispetto di chi voglia consultarlo, e che le indagini siano rese ancor più difficili dal fatto che nei volumi, i quali portano incollati sul frontespizio un cartellino con delle date che vorrebbero indicare gli estremi limiti di tempo al quale si riferiscono gli atti contenuti, capita talora di incontrarvi delle carte e magari delle pergamene che con quelle date nulla hanno a che fare. Non c’è che dire: la Codazzi ha pienamente ragione. All’inconveniente della ristrettezza dell’orario si potrebbe facilmente ovviare coll’aprire l’archivio non da mezzogiorno alle due del pomeriggio, ma dalle dieci come tutti gli altri uffici di Curia: si avrebbe così il vantaggio di due ore di tempo messo a disposizione degli studiosi, e specialmente di quei preti che calano a Milano dai lontani paesi della diocesi per ricerche riguardanti le loro parrocchie. Ma quello che più si impone è che all’archivio presieda non un addetto qualunque, la cui mansione sia soltanto quella di levare le fedi per coloro che vi ricorrono, ma un vero archivista il quale lavori con criterio scientifico a schedare e a compilare inventari sommari etc, ecc. Lavoro lungo e paziente, senza dubbio; ma è pure evidente che se non si incomincia si rimarrà sempre allo statu quo. E' semplicemente strano che un archivio, sotto diversi aspetti così importante, sia lasciato in tale stato, mentre d’ufficio si inculca ai parroci di tenere ben ordinati i loro archivi parrocchiali. Diciamolo francamente, tutto questo, mentre oggi pubblici e privati archivi si vanno con lodevole cura scientificamente riordinando, non fa certo onore alla Curia Arcivescovile di Milano.

R. BERETTA.